24/03/2006
Preoccupazione per fuga di cervelli dall'Africa a l’Europa
Preoccupazione per fuga di cervelli dall’Africa a l’Europa
Sanjay Suri
LONDRA, 24 marzo 2006 (IPS) – Alcuni gruppi accademici in Gran Bretagna hanno espresso preoccupazione per l’aumento di ricercatori e professionisti africani che emigrano all’estero.
”È difficile tradurre in cifre questi eventi – le statistiche difficilmente rispecchiano la situazione – tuttavia sappiamo che esiste un indiscutibile flusso di competenze accademiche dall’Africa”, ha detto all’IPS Brian Everett, assistente del segretario generale dell’Associazione dei docenti universitari (AUT).
”Ciò avviene in tutte le discipline, ma soprattutto nelle scienze e nella medicina”, ha dichiarato.
”I movimenti migratori sono complessi e si basano su decisioni individuali spesso influenzate dallo stato dell’economia e dell’istruzione superiore nelle nazioni di provenienza”, ha proseguito Everett. “I paesi più sviluppati diventano chiaramente i maggiori beneficiari, malgrado la Cina si stia sviluppando a una velocità tale che presto potrebbe beneficiarne anch’essa”.
Si è svolta a Londra una conferenza sulla fuga di cervelli dall’Africa, organizzata dall’AUT e da un altro sindacato di docenti universitari, il NATFHE. Il tema della conferenza era: “Fuga di cervelli dall’Africa: una fortuna per la Gran Bretagna – una calamità per l’Africa?”.
”La fuoriuscita di valenti accademici dalla Gran Bretagna verso gli Stati Uniti è ben nota, ma una meno conosciuta fuga di cervelli sta strappando talenti accademici all’Africa sub-sahariana in favore del mondo sviluppato, con conseguenze dannose e potenzialmente disastrose”, rivelano le due associazioni in una dichiarazione congiunta. “La migrazione internazionale di accademici è molto gradita, perché utile alla vita universitaria e culturale”, prosegue il comunicato. “Tuttavia, accademici africani e inglesi sostengono che la fuga di cervelli dai paesi in via di sviluppo rischia di spogliare i loro sistemi di istruzione superiore, rendendo indispensabili misure adeguate per fermare il fenomeno”.
Everett ha dichiarato che “si può parlare della fuga di cervelli come di una catena alimentare; alcuni paesi africani – per esempio il Sud Africa – traggono vantaggio dai loro vicini, e allo stesso tempo Gran Bretagna e Stati Uniti, insieme ad altri paesi europei, ne traggono dall’intera Africa”.
Le conseguenze sull’Africa possono risultare allarmanti, ha proseguito Everett.
”Le conseguenze sono semplici, i paesi che perdono i cervelli non hanno le capacità di istruire i propri giovani e sviluppare la propria economia”, ha detto Everett all’IPS. “Dunque vacillano, oppure si aprono a un’istruzione privatizzata che lavora secondo le logiche del profitto e sostiene valori diversi, soprattutto rispetto alla libertà accademica e alla ricerca”.
La conferenza di Londra è un punto di partenza per “cercare delle soluzioni”, ha dichiarato Everett, “ma bisogna entrare nell’ottica di ricompensare i paesi che vengono privati delle loro competenze”. L’incontro di Londra nasce dall’idea di alcuni studiosi africani di valutare le conclusioni di un progetto congiunto delle associazioni e di approfondire proposte e azioni politiche che sindacati, organizzazioni non governative, università e governo inglesi dovrebbero adottare. “La Gran Bretagna ospita molti dei più validi studiosi di tutto il mondo, compresi alcuni provenienti da paesi poveri dell’Africa”, ha rivelato in una dichiarazione Paul Bennett, funzionario nazionale del NATFHE. “Possono venire – sono i benvenuti – e le nostre università ne trarranno grande beneficio, ma il rapporto è sproporzionato, spesso a discapito dei paesi di provenienza. Vogliamo che il governo ricompensi i paesi di esportazione e li aiuti a costruire i loro sistemi di istruzione superiore”. Everett sostiene che “quando un piccolo paese in via di sviluppo cede anche una piccola parte dei propri migliori docenti e ricercatori a un’università britannica, probabilmente sta perdendo una grossa porzione delle proprie fondamenta accademiche”. Dato che regole e percorsi migratori stanno cambiando, ha concluso, “bisogna vedere i benefici considerando lo spost