10/05/2006
Cooperazione internazionale: Lavorare come Peaceworker
A Londra nasce una nuova organizzazione per la solidarieta’ Internazionale.
Nel vasto e dispersivo mondo della cooperazione internazionale si fa strada un nuovo modello organizzativo. Soprattutto dopo il conflitto afgano del 2001, l’attività del cooperante ha progressivamente perso il carattere di volontariato per divenire un mestiere vero e proprio, con diversi livelli di specializzazione.
Un mondo che cambia. I progetti e gli interventi di cooperazione internazionale sono spesso balzati all’onore delle cronache, non solo per il forte spirito solidaristico che contraddistingue gran parte del personale impegnato in zone devastate da conflitti o da catastrofi naturali, ma anche, purtroppo, per gli sperperi di risorse finanziarie e umane, oltre che, in molti casi, per l’approssimazione delle strutture organizzative. Recentemente, l’Unione Europea ha espresso la necessità di creare canali e strutture di raccordo tra le varie Ong che, servendosi di personale civile qualificato, operano in zone di crisi per la ricostruzione della pace. L’intenzione dell’Ue – sposata, in tempo di campagna elettorale, anche dal neoeletto governo italiano – è quella di rendere più efficiente il sistema di intervento delle varie Ong e creare dei cosiddetti corpi di pace composti esclusivamente da civili, in alternativa ai Caschi blu. In questo contesto si inserisce l’attività di Peaceworkers UK, Ong con sede a Londra.
Migliorare la cooperazione. Il panorama delle Ong è uno sterminato coacervo di entità – quelle ufficialmente riconosciute dal ministero degli Esteri italiano sono quasi 200 – tra cui è difficile districarsi per chi opera nel settore, quasi impossibile per tutti quei volontari che cercano la giusta collocazione professionale. Le principali modalità di ricerca del personale si basano sull’utilizzo di banche dati interne delle varie Ong, con le quali è necessario instaurare un contatto diretto. Se si eccettua l’istituzione, in seno alla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo, di una banca dati di esperti per gli interventi di emergenza, il ministero degli Esteri italiano non ha ancora predisposto un sistema in grado di coordinare non solo il dialogo tra le Ong presenti sul territorio, ma soprattutto i rispettivi sistemi di ricerca del personale. Da cinque anni, nella prospettiva di colmare questa serie di limiti organizzativi e strutturali, agisce Peaceworkers UK, nata come dipartimento di supporto a quattro Ong, dedicato alla formazione e al reperimento di personale civile. Costituitasi come Ong indipendente nel 2003, Peaceworkers UK è stata una delle oltre 600 Ong che hanno partecipato lo scorso anno alla Conferenza internazionale denominata Global Partnership for the Prevention of Armed Conflict (Gppac), patrocinata dall’Onu.
Peaceworkers: il progetto. Negli ultimi tre anni Peaceworkers UK si è specializzata nella formazione di personale civile altamente qualificato, con l’obiettivo di creare una vasta banca dati che possa servire da serbatoio di reclutamento per le Ong che cercano profili specifici dall’alto standard professionale. “A seconda delle situazioni e del tipo di intervento, le Ong si rivolgono a noi segnalandoci il tipo di figura di cui necessitano – racconta Giulia Corinaldi, responsabile del Research Office di Peaceworkers. Le persone iscritte nel nostro registro sono più di 400, provenienti da circa 30 Paesi. Ultimamente abbiamo fornito consulenza alla Election Reform International Services (Eris) – Ong che si occupa del monitoraggio dei processi elettorali – per l’individuazione di cinque persone da impiegare in occasione delle ultime elezioni in Ucraina. Il principale rapporto di collaborazione lo abbiamo con Non Violent Peaceforce (Nvp), che sta cercando di costituire, a livello internazionale, un gruppo di 500 civili pronti per missioni di pace organizzate dall’Onu”. “E’ fondamentale – prosegue Giulia Corinaldi – capire che tipo di lavoro svolgono le varie Ong, di quale tipo di personale hanno bisogno e, soprattutto, se si tratti di organizzazioni che lavorano con serietà. Tutto ciò per comprendere il tipo di formazione da offrire e per individuare le tecniche di ricostruzione di pace più adatte alla situazione”. Oltre ai guadagni provenienti dall’iscrizione ai singoli corsi – per cui l’organizzazione si avvale di esperti della cooperazione internazionale , oltre che di tecnici e diplomatici – Peaceworkers può contare sui finanziamenti dell’Ue e, in minor misura, di altre organizzazioni e associazioni religiose. “L’Unione Europea copre l’80% delle spese relative ai corsi organizzati congiuntamente, per il resto dei progetti contiamo essenzialmente su enti no-profit e sulle quote di iscrizione ai singoli corsi”, ha precisato Tim Wallis, direttore dell’Ong, che, tuttavia, lamenta la difficoltà nel reperire investitori. Non siamo finanziati dal governo inglese, anche se riceviamo finanziamenti derivanti da un fondo speciale istituito sotto la supervisione del ministero degli Esteri e denominato Global Conflict Prevention Pool, dal quale lo scorso anno abbiamo ricevuto 50 mila sterline. La disponibilità totale del fondo ammonta a circa 70 milioni di sterline, ma la stragrande maggioranza delle risorse viene destinata in Afghanistan e Iraq per progetti di prevenzione dei conflitti”.
Peaceworkers e l’Unione Europea. Dal 2003 a oggi l’organizzazione, le cui aree di intervento sono, principalmente, lo sviluppo di istituzioni e processi democratici, nonché la salvaguardia e l’implementazione dei diritti umani e dei sistemi legislativi in aree post-conflittuali, ha progettato 7 corsi in collaborazione con l’Ue, nell’ambito del programma Training for Civilian Crisis Management. “I corsi, programmati su due livelli di specializzazione, sono stati incentrati sullo sviluppo dei diritti umani, la trasformazione dei conflitti e la reintegrazione degli ex combattenti”, ha specificato Tim Wallis. Il vero scopo di Peaceworkers è quello di creare un network di collegamento tra le realtà che gravitano attorno al mondo della cooperazione internazionale, obiettivo che sembra sposarsi perfettamente con i propositi dell’Unione Europea, tesi allo sviluppo di una politica comunitaria in tema di sicurezza e di difesa che preveda l’attiva partecipazione di personale civile.