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Il sistema educativo inglese si interroga

Il sistema educativo inglese si interroga

E nessuno più vuole fare il preside: forte calo nel numero delle domande
 LONDRA – Circa un milione di bambini e ragazzi studiano in Inghilterra in scuole carenti, anche se il numero di queste è in diminuzione. Lo afferma un rapporto ufficiale del National Audit Office (l’ufficio nazionale britannico di controllo della pubblica amministrazione) che ha fatto molto scalpore nell’opinione pubblica inglese.

Dal rapporto, inoltre, risulta che è in calo il numero degli insegnanti che fanno domanda per diventare presidi, e questo dato sembra riflettere la percezione di un’eccessiva pressione su tale categoria e di una minore sua attrattiva.

Secondo il Nao, in particolare, alla scorsa estate erano 1557 le scuole “poco performanti” e 242 gli istituti con prestazioni completamente insufficenti (anche se, bisogna ammettere, il numero di queste ultime è decisamente calato: nel 1998 le scuole totalmente inadeguate erano 515). Le scuole carenti, aggiunge il rapporto, sono il 23% circa di quelle secondarie e il 4% di quelle elementari.

“Sebbene il numero delle scuole dalla prestazione insufficiente sia diminuito è tragico che così tanti allievi ancora non ricevano l’istruzione che meritano” ha commentato Edward Leigh, presidente della commissione conti pubblici della Camera dei Comuni. “La maggior parte di queste scuole hanno bisogno di migliori dirigenti e amministratori, di più alti standard d’insegnamento e di un appoggio più efficace delle autorità locali”, ha aggiunto.

“A nessun istituto scolastico sarà permesso di rimanere debole: tutte le scuole che entro un anno non mostreranno segnali di miglioramento andranno incontro alla chiusura”, ha affermato, molto seccato, il ministro dell’istruzione britannico Jacqui Smith, aggiungendo che nei prossimi mesi le ispezioni si moliplicheranno. “Standard migliori, migliori metodi d’insegnamento e riforme – ha aggiunto – contribuiranno a migliorare anche quegli istituti che ora chiamiamo ‘poco performanti'”.

“Voglio puntualizzare che da quanto emerge dal mio rapporto annuale sullo stato dell’educazione in Inghilterra – ha poi dichiarato David Bell, capo degli ispettori del ministero dell’istruzione inglese – la maggior parte delle scuole britanniche sono buone. E molte di queste non sono solo buone ma eccellenti, e forniscono ai propri alunni un’eccellente educazione. Molti istituti – ha aggiunto – stanno affrontando delle difficoltà. Quello che conta però è che sono sicuro che non rimarranno nella mediocrità”.

E sull’altro problema, quello del reclutamento dei presidi, con più di un quarto delle scuole primarie che dall’anno scorso non hanno un direttore fisso, il rapporto chiede che si faccia di più per incoraggiare i docenti a intraprendere la carriera di preside e che l’ente cui sono affidate le ispezioni si concentri sulle scuole che mostrano segni di debolezza, riducendo il tempo dedicato a quelle migliori.
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Esperimento inglese, a scuola pagati per superare l'esame

Esperimento inglese, a scuola pagati per superare l’esame
di CINZIA SGHERI

 

Studenti pagati per sostenere gli esami, ma soprattutto per superarli a pieni voti. Succede in una scuola secondaria del Regno Unito, la City Academy di Bristol, dove 165 sedicenni alle prese con il GCSE (General Certificate Secondary Education, una sorta di esame intermedio) si sono portati a casa un totale di 37.000 sterline per aver ottenuti buoni voti. In media, ogni studente facendo gli esami ha guadagnato circa 180 sterline (un po’ più di 250 euro) e qualche “secchione” è riuscito a mettersi in tasca addirittura fino a 410 sterline (oltre 600 euro). Altre 8.500 sterline sono state distribuiti a 17 studenti che hanno brillantemente superato l’A-level, l’esame che, come per noi la maturità, permette l’accesso ai corsi universitari.

All’interno del programma “Achievement and Incentives” (questo il nome dell’iniziativa messa in atto nella scuola di Bristol), ad ogni studente viene imposto il raggiungimento di un obiettivo minimo in termini di voti. Non tradire l’aspettativa significa intascare subito 10 sterline, cui si aggiungono 5 sterline di bonus per ogni obiettivo superato. Ray Priest, il preside della scuola, dichiara che non si tratta di un’operazione che mira a “corrompere” gli studenti: “Sono convinto che chi lavora duro per raggiungere i propri obiettivi vada premiato ed è innegabile che gli incentivi abbiamo contribuito a far crescere l’entusiasmo e la motivazione negli studenti”. E se dalla National Union Teachers fanno sapere che forse sarebbe meglio spendere questi soldi per migliorare il livello complessivo dell’istruzione, in casa nostra non manca l’apprezzamento per questa coraggiosa iniziativa.


“Beati loro che se lo possono permettere. Prima di esprimere qualsiasi giudizio di merito non posso non considerare l’aspetto economico e paragonarlo alla nostra situazione, che è di grave penuria di risorse anche per fronteggiare i bisogni essenziali della scuola – commenta Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi e direttori didattici – Battute a parte, riconosco in questo progetto un’espressione tipica del pragmatismo anglosassone, difficilmente attuabile alle nostre latitudini, ma non ci trovo nulla di riprovevole. E’ un modo di paragonare l’attività dello studio, che è un lavoro intellettuale, all’attività professionale e non mi sembra del tutto sbagliato. Anche in Italia del resto esiste uno strumento simile. Si tratta delle borse di studio, che da noi però coniugano al merito scolastico anche particolari condizioni di disagio economico, mentre a Bristol mi pare di capire che l’operazione sia più netta e rivolta a premiare soltanto gli obiettivi raggiunti”.

Pare che il livello dei voti raggiunti dagli studenti della City Academy di Bristol si sia notevolmente alzato da quanto, tre anni fa, è partito il programma di incentivi, sotto il patrocinio del progetto governativo New Deal for Communities. “Non mi meraviglia che i voti siano migliorati – conclude Rembado – In un mondo che monetizza qualsiasi cosa, anche sugli adolescenti la leva economica ha di sicuro una presa immediata. Del resto si può discutere di alcuni aspetti della nostra cultura occidentale, ma è necessario riconoscere che è molto pervasiva e la scuola non sempre può permettersi di andare contro corrente”.
(18 novembre 2005) http://credit-n.ru/offers-zaim/viva-dengi-credit.html http://credit-n.ru/blog-listing.html

Pasta nelle mense per gli studenti inglesi

Pasta nelle mense per gli studenti inglesi

ROMA – Entrano nelle mense delle nostre scuole, prendono appunti, assaggiano i cibi. Sono i due esperti inviati dal Consiglio di Ricerche Economiche e Sociali del Regno Unito, Kevin Morgan e Roberta Sonnino, che stanno preparando un rapporto che mette a confronto i pasti scolastici di Roma e Toscana con quelli inglesi del Carmanthenshire, Gloucestershire e Aberdeenshire. La relazione, poi, servirà al ministro dell’Istruzione britannico Ruth Kelly per migliorare la politica alimentare delle scuole inglesi.
Qualche mese fa il popolarissimo chef televisivo inglese Jamie Oliver aveva lanciato una campagna, subito raccolta dal governo Blair, per migliorare con più qualità e più cibi sani e freschi le mense scolastiche d’oltremanica. E così due nutrizionisti dell’Università di Cardiff sono volati in Italia nella speranza di importare i salutari menu delle nostre scuole. La questione non è quella di copiare i menu scolastici italiani e introdurli nelle scuole britanniche, ma di utilizzare ingredienti freschi e biologici, come quelli previsti dai menu delineati l’anno scorso per le 140 mila scuole di Roma.

“La cucina delle scuole italiane ha un odore così buono – ha detto al Times di Londra Kevin Morgan, visitando una scuola elementare nostrana – e nelle mense ci sono anche tovaglie di carta bianche e cestini di mele fresche”. I due inviati, inoltre, si sono meravigliati di aver visto, al posto delle classiche patatine fritte, pasta al pomodoro e basilico, polpette di carne e insalata fresca, torta alle mele. “Abbiamo bisogno di questo in Inghilterra – continuano i due nutrizionisti – e non è solo questione di pasta e olio d’oliva, ma d’ingredienti stagionali associati al territorio”.
(16 novembre 2005) http://credit-n.ru/electronica.html http://credit-n.ru/kurs-cb.html

Scuola inglese dove non si parla English

Scuola inglese dove non si parla English


PORTSMOUTH – C’è una scuola inglese dove la lingua più parlata nell’Unione Europea è la meno usata per comunicare. Gli insegnanti della Isambard Brunel School di Portsmouth, punto di approdo dell’Inghilterra meridionale, parlando inglese riescono a farsi capire poco o niente dai loro alunni, ragazzini tra i 7 e gli 11 anni che arrivano in Gran Bretagna da 41 diversi paesi al mondo e che si esprimono in 58 lingue diverse.

Questo sì che è un melting pot, un calderone dove si mescola gente da ogni parte del mondo. I cartelli “Bagno”, “Sala professori” e “Presidenza” sono scritti in 13 lingue diverse e ai docenti si sono dovuti affiancare interpreti e linguisti. Un esempio di interazione e multiculturalità, ma anche un problema. Questo è un calderone che rischia di andare in ebollizione e debordare, secondo quanto hanno denunciato i docenti della scuola.

Il primo problema è quello dei soldi. La professoressa Codling chiede al governo di stanziare più fondi per aiutare il consiglio scolastico comunale: “Non è un problema che riguarda solo la nostra scuola – sottolinea – ma quelle di tutta la città”. In effetti la Isambard Brunel è solo l’unica che ha seguito l’indicazione di un consigliere e ha fatto una ricerca, scoprendo così quante sono le lingue parlate dai suoi studenti.

Portsmouth ha una lunga tradizione di immigrazione, le comunità bengalesi e cinesi sono ormai arrivate alla terza generazione e non hanno alcun problema con l’inglese. Ultimamente però c’è stato un incremento di immigrati, rifugiati politici, lavoratori dai paesi dell’Est ammessi nella Ue, e tanti, tantissimi profughi da Afghanistan e Iraq.

Il comune finanzia già l’assistenza linguistica a insegnanti e alunni in classe, le scuole hanno programmi per coinvolgere i genitori, spiegare come funziona il sistema scolastico e fornire anche a loro corsi di lingua. Ma gli stranieri aumentano ancora e i fondi non bastano più.

Eleanor Scott, consigliere comunale, sottolinea che il governo preme sulle autorità locali perché promuova l’integrazione dei bambini nel sistema scolastico il più in fretta possibile, ma non fornisce la copertura finanziaria per le nuove emergenze. “Gli studenti non possono ottenere buoni risultati se non capiscono la nostra lingua – dice Scott – Credo che si dovrebbe seguire il modello adottato in Israele, dove gli immigrati, bambini e famiglie, seguono corsi intensivi di lingua, insieme con lezioni sulla geografia e la storia del paese e i suoi costumi”.
(24 settembre 2005)
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