23/12/2005
Città blindate
Città blindate
Test del dna, archiviazione di e-mail e telefonate. Controlli che limitano la privacy ma spesso inefficaci. Dagli Usa all’Italia, come cambia la nostra vita quotidiana
di ALBERTO DE MARCO e LUISA MANENTI
«Non cambieranno il nostro modo di vivere». Il concetto espresso da Tony Blair e dalla regina Elisabetta dopo gli attentati del 7 luglio a Londra è chiaro: se i terroristi cercano di modificare la nostra quotidianità, i governi occidentali faranno in modo di impedirglielo. A suon di guerre preventive, città
blindate e limitazioni dei diritti civili. A ben vedere infatti, dall’11 settembre 2001 la reazione al terrore si è sempre scontrata con la tutela della privacy, la libertà di circolazione e quella di pensiero. «Al cospetto del terrorismo, la politica della paura auspica il completo abbandono della libertà a favore della sicurezza, della segretezza, della casualità, della discriminazione razziale, dei trasferimenti coatti di detenuti e dell’uso della tortura» ha commentato Louise Arbour, Alto commissario Onu per i diritti umani. Ma è l’unica via percorribile?
L’Europa si blinda…
Dopo la nuova serie di attentati Europa e Stati Uniti hanno ulteriormente alzato il livello di guardia. A due giorni dalle esplosioni di Londra, il ministro degli Interni britannico Charles Clarke ha proposto di memorizzare e archiviare per almeno sei mesi tutte le conversazioni telefoniche e le e-mail, spiegando che questa forma di controllo «avrebbe potuto frenare gli assassini». Francia e Olanda hanno invece rafforzato i controlli alle frontiere. «Il trattato di Schengen prevede in circostanze molto precise la possibilità di farlo – ha dichiarato il ministro degli Interni francese Nicolas Sarkozy – Se non rafforziamo i controlli alle frontiere quando circa 50 persone sono morte a Londra, non so quando dovremmo farlo».
Dopo le minacce anche l’Italia è corsa ai ripari: il “pacchetto Pisanu” prevede fra l’altro l’arresto obbligatorio “in flagranza” per i delitti con finalità terroristiche, la possibilità di «premiare» i confidenti con il rilascio del permesso di soggiorno, il prolungamento del fermo di polizia da 12 a 24 ore, una procedura più agevole per l’espulsione di chi è ritenuto «pericoloso per la sicurezza dello Stato» e addirittura il test del Dna, praticato in casi estremi con il prelievo forzoso di saliva e capelli. Il nostro è inoltre uno dei pochi paesi in cui la data retention è già realtà: da febbraio 2004 i dati relativi alle telefonate vengono conservati dai provider per 24 mesi. E il decreto ha esteso il controllo anche alle e-mail.
…e gli Usa rilanciano
Gli Stati Uniti dal canto loro stanno vagliando la possibilità di rinnovare e rendere definitive le misure introdotte dal Patriot act, la legislazione anti-terrore messa in piedi poche settimane dopo l’attacco alle Twin towers. La normativa consente di raccogliere dossier su persone indagate a loro insaputa, servendosi di ogni tecnica disponibile: controlli telefonici, su posta elettronica e cartelle cliniche, indagini su documenti e siti internet, sulla corrispondenza privata e presso biblioteche e librerie sulle letture dei clienti. Ma anche perquisizioni all’interno delle abitazioni in assenza del proprietario, detenzione illimitata di possibili sospetti, tutto senza necessità di prove né di autorizzazione del giudice. La stessa legge autorizza ogni attività dei servizi volta ad arrestare, deportare e punire, anche con la pena di morte, terroristi che vivono o agiscono in qualsiasi paese.
Per quattro anni il Patrot act ha operato lontano dai riflettori di stampa e televisione, concentrati sulla guerra in Iraq e sullo scandalo dei prigionieri di Abu Grahib e Guantanamo. Se oggi l’argomento arriva sulle prime pagine è perché “scade” a ottobre e sono forti le pressioni dell’amministrazione Bush per renderlo permanente. Nelle redazioni delle più prestigiose testate statunitensi – New York times, Washington post e Cnn – si aggira addirittura lo spettro di un ancora più segreto e illiberale Patriot act 2, che il governo tenterebbe di far votare a porte chiuse. A metà giugno la maggioranza della Camera si era schierata contro i poteri del Fbi di accedere ai dati di biblioteche e librerie sfidando la minaccia di veto di Bush. Ma dopo gli attentati di Londra i neocon hanno ribadito la necessità di rafforzare il Patriot act.
Le trame di Hollywood
Sulla vicenda si è espresso anche lo scrittore statunitense Norman Mailer. «Che cosa ci guadagnamo a raggiungere un livello di sicurezza pressoché totale se poi perdiamo la nostra democrazia? – chiede l’intellettuale – Non tutti in Iraq, d’altronde, sono stato torturati da Saddam Hussein. Nella società irachena ai tempi di Saddam alcuni gruppi disponevano di tutta la libertà – sebbene fosse quella stabilita dal regime, che consentiva di esprimere liberamente solo acclamazioni enfatiche al leader – di cui avevano bisogno. Ci sono cose più importanti della sicurezza da salvaguardare: una di queste è proteggere l’integrità della nostra democrazia, più volte presa di mira».
Per ora i comitati per la revisione del Patriot act sperano che almeno venga infranta la barriera della segretezza. Forse non ci sarà il robusto dibattito parlamentare su ogni singola norma auspicato dal movimento bipartisan dei Patriots to restore checks and balances (Patrioti per il riequilibrio dei poteri), ma le due parti si preparano a influenzare le emozioni degli americani. Hollywood, ad esempio, sposa le posizioni democratiche, prenotando Leonardo Di Caprio per un thriller politico ambientato a Washington. La trama si basa sulla raccolta di informazioni segrete, dossier e ricatti operati dai servizi su uomini di governo per condizionarne le scelte politiche.
Violazioni pericolose
Il dubbio che con queste norme sia lo stesso Occidente a cambiare in peggio le regole del vivere civile non è venuto solo ad associazioni in difesa dei diritti civili. Già alla fine del 2001, in un parere congiunto, i garanti della privacy europei lanciavano l’allarme: «I provvedimenti contro il terrorismo non devono compromettere gli standard per la protezione dei diritti fondamentali che caratterizzano le società democratiche. Un elemento fondamentale della
Il presidente degli Usa George W. Bush
lotta al terrorismo è costituito dall’impegno per la salvaguardia di quei valori fondamentali che costituiscono la base di ogni società democratica, ossia proprio i valori che quelli che praticano l’uso della violenza tentano di distruggere».
Il timore degli attivisti dei diritti umani è che la lotta al terrore sia usata dai governanti per attuare misure di controllo e repressione che non sarebbero legittimate in tempi normali. E che tutte queste tecnologie messe in campo, inefficaci per arginare il terrorismo internazionale, finiscano per creare barriere ancora più alte contro l’immigrazione e i movimenti di critica al liberismo.
L’altolà degli esperti
Della necessità di salvaguardare i diritti fondamentali dell’individuo ha parlato anche il presidente dell’Authority italiana per la protezione dei dati personali, Francesco Pizzetti: «Le misure di sicurezza devono essere adottate concordemente alla convenzione di Strasburgo, che pure prevede misure eccezionali. Per fare due esempi, occorre informare i cittadini della presenza di telecamere nei luoghi pubblici e tutelare la conservazione dei dati per un periodo limitato alla loro utilità. Vanno evitate infine misure che restringano arbitrariamente la libertà personale».
Anche l’ex garante della privacy Stefano Rodotà – di cui è appena uscito un libro a cura di Paolo Conti, Intervista su privacy e libertà (Laterza, 10 euro) – lancia l’allarme su misure come il prolungamento del fermo giudiziario. «Si ampliano così poteri di polizia anche in aree, come quelle delle libertà personali e di comunicazione, per le quali la garanzia costituzionale non è affidata soltanto alla legge, ma alla presenza costante dell’autorità giudiziaria attrevarso un “atto motivato”». Durante gli anni di piombo l’estensione del fermo di polizia fu inserita fra le misure di contrasto alla lotta armata, ma era accompagnata dall’obbligo del Viminale a presentare periodiche relazioni al Parlamento sull’uso di questo strumento. Ed è stata la Corte Costituzionale, in una sentenza del 1982, a evidenziare che «l’emergenza è una condizione anomala e grave, ma anche essenzialmente temporanea. Ne consegue che essa legittima sì misure insolite, ma che queste perdono la loro legittimità se ingiustificatamente protratte nel tempo»
Controlli troppo cari
Ma prescindere dal loro impatto sulla privacy dei cittadini, siamo certi dell’efficacia delle misure messe in campo? Già prima del 7 luglio, a Londra, solo nella City c’erano più di mille telecamere, e i sistemi a circuito chiuso controllavano le strade dell’intera città. E la metropolitana era dotata di un sistema computerizzato chiamato Cromatica, che analizza i comportamenti anomali sulle banchine. Lo schermo di controllo cambia colore quando li individua. Ma anche queste sofisticate misure si sono rivelate insufficienti.
Per quanto riguarda le intercettazioni di telefonate ed e-mail, poi, gli stessi provider e operatori di telecomunicazioni ritengono sproporzionato un periodo di archiviazione superiore a 12 mesi (in rari casi vengono richiesti dati anteriori per lo svolgimento di indagini penali) e troppo costosa la conservazione dell’enorme mole di dati. Peraltro le milioni di comunicazioni effettuate quotidianamente, una volta scremate dai diversi sistemi di controllo devono comunque passare al vaglio di analisti umani: ecco il grande limite di Echelon, l’orecchio elettronico che controlla tutte le comunicazioni globali. Quando le parole vengono “scovate” una segnalazione automatica fa archiviare la comunicazione, che però deve passare al vaglio di controllori in carne e ossa. Altri software come Semantic forests, che analizza i contenuti dei documenti e riesce a rispondere a domande di senso compiuto, devono fare i conti, soprattutto economici, con le traduzioni. E anche quando sistemi come il Systran traducono 750 pagine l’ora, c’è bisogno di chi poi queste pagine le legga.
Effetto boomerang
È nell’ambito dei trasporti, più che altrove, che la legislazione d’emergenza Usa ha mostrato la sua inefficacia. Tutte le compagnie aeree sono state costrette a fornire informazioni sui propri passeggeri. «Ma – sottolinea Stefano Rodotà – su 8 milioni e mezzo di viaggiatore controllati alla fine del 2004 non vi era neppure un solo terrorista». Insomma, tanto rumore – e tanti soldi investiti – per nulla. «Non trascuriamo poi il fatto che le banche dati accrescono la vulnerabilità sociale – aggiunge l’ex garante per la privacy – Basta ricordare il caso della violazione della banca dati di Mastercard, con il furto delle informazioni su 52 milioni di clienti. Che cosa accadrebbe se un’organizzazione terrorista violasse una banca dati sulle comunicazioni tra le persone, utilizzandole per individuare meglio gli obiettivi da colpire? Si è consapevoli del rischio di questo effetto boomerang?».
Per completare il quadro, non va trascurato che quello della videosorveglianza e della sicurezza è un business, che alimenta le casse di numerose aziende private. Il giorno stesso degli attentati di Londra si è scatenata una corsa all’acquisto di alcuni titoli che operano nel settore. Tra questi Ipix, leader nella videosorveglianza che il 7 luglio guadagnava il 22,63%, mentre Identix, che produce sistemi di riconoscimento attraverso le impronte digitali, avanzava del 5,62%. In forte rialzo anche il produttore di rilevatori di esplosivi Isonics (+9,90%) e Digital Recorders (+27,17%), che si focalizza sui sistemi di sicurezza dei trasporti. Mentre in Occidente aumenta la tensione, l’unica certezza è che milioni di dollari finiranno nelle loro tasche.
23 dicembre 2005
(l’articolo è tratto dal numero di settembre del mensile “La Nuova Ecologia”