Scuola inglese dove non si parla English
PORTSMOUTH – C’è una scuola inglese dove la lingua più parlata nell’Unione Europea è la meno usata per comunicare. Gli insegnanti della Isambard Brunel School di Portsmouth, punto di approdo dell’Inghilterra meridionale, parlando inglese riescono a farsi capire poco o niente dai loro alunni, ragazzini tra i 7 e gli 11 anni che arrivano in Gran Bretagna da 41 diversi paesi al mondo e che si esprimono in 58 lingue diverse.
Questo sì che è un melting pot, un calderone dove si mescola gente da ogni parte del mondo. I cartelli “Bagno”, “Sala professori” e “Presidenza” sono scritti in 13 lingue diverse e ai docenti si sono dovuti affiancare interpreti e linguisti. Un esempio di interazione e multiculturalità, ma anche un problema. Questo è un calderone che rischia di andare in ebollizione e debordare, secondo quanto hanno denunciato i docenti della scuola.
Il primo problema è quello dei soldi. La professoressa Codling chiede al governo di stanziare più fondi per aiutare il consiglio scolastico comunale: “Non è un problema che riguarda solo la nostra scuola – sottolinea – ma quelle di tutta la città”. In effetti la Isambard Brunel è solo l’unica che ha seguito l’indicazione di un consigliere e ha fatto una ricerca, scoprendo così quante sono le lingue parlate dai suoi studenti.
Portsmouth ha una lunga tradizione di immigrazione, le comunità bengalesi e cinesi sono ormai arrivate alla terza generazione e non hanno alcun problema con l’inglese. Ultimamente però c’è stato un incremento di immigrati, rifugiati politici, lavoratori dai paesi dell’Est ammessi nella Ue, e tanti, tantissimi profughi da Afghanistan e Iraq.
Il comune finanzia già l’assistenza linguistica a insegnanti e alunni in classe, le scuole hanno programmi per coinvolgere i genitori, spiegare come funziona il sistema scolastico e fornire anche a loro corsi di lingua. Ma gli stranieri aumentano ancora e i fondi non bastano più.
Eleanor Scott, consigliere comunale, sottolinea che il governo preme sulle autorità locali perché promuova l’integrazione dei bambini nel sistema scolastico il più in fretta possibile, ma non fornisce la copertura finanziaria per le nuove emergenze. “Gli studenti non possono ottenere buoni risultati se non capiscono la nostra lingua – dice Scott – Credo che si dovrebbe seguire il modello adottato in Israele, dove gli immigrati, bambini e famiglie, seguono corsi intensivi di lingua, insieme con lezioni sulla geografia e la storia del paese e i suoi costumi”.
(24 settembre 2005)
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