Zola dice addio a Londra
Londra e cinque anni da raccontare: “Chiudo in Italia”
dal nostro inviato EMILIO MARRESE (La Repubblica.it)
LONDRA – Gianfranco Zola, è ora di tornare a casa?
“Direi di sì ma devo guardarmi intorno. E’ una decisione che spetta anche alla mia famiglia che mi segue da 13 anni. Vediamo anche che opportunità ci sono in Italia. Napoli e Cagliari le ho affondate entrambe… Scherzi a parte, il Cagliari poteva essere la soluzione migliore ma in A era una cosa e in B un’altra: anche per loro. Dipende dai programmi. Non è un problema di soldi: su quelli ci si mette d’accordo”.
A luglio avrà 35 anni: davvero c’è rimasto un po’ di Zola anche per il calcio italiano?
“Penso di avere ancora qualche freccia da tirare. Sono sorpreso io stesso delle mie condizioni atletiche, merito di una vita regolare, della piccola stazza fisica, della fortuna di non aver mai avuto infortuni gravi e del lavoro svolto col bravissimo Pintus. I test danno risultati buoni. Un anno ancora ce l’ho di sicuro, due vediamo”.
Un bilancio di questi 5 anni da emigrante.
“I primi tre sono andato alla grande. L’anno scorso ho avuto un rendimento altalenante: per 34 mesi non riuscivo a segnare pur giocando bene. Quest’anno sto andando discretamente, ho fatto 11 reti. Non pensavo all’inizio che mi sarei trovato così bene e che sarei rimasto tanto. E’ stata un’esperienza bellissima, consigliabile a chiunque tranne a quelli che pensano di venire qui a prendere la pensione: stiano a casa, è un’illusione che il calcio inglese sia facile. Qui corrono anche per andare negli spogliatoi alla fine della partita e la qualità tecnica cala quando sale il ritmo: anche per questo il Chelsea ha avuto problemi”.
Le tre foto da mettere in valigia.
“La vittoria della FA Cup e il gol per l’Italia a Wembley nel ’97, il gol nella finale di Coppa delle Coppe nel ’98”.
Si è mai sentito dimenticato?
“Sì. Prima dei mondiali del ’98 non venni trattato come gli altri e fu un dispiacere grosso perché ci tenevo ad una rivincita internazionale. Chi gioca all’estero è penalizzato per la Nazionale. Ringrazio Trapattoni per avermi chiamato alla partita del Giubileo, è stato un gesto straordinario”.
Possibile che sia sempre stato tutto così meraviglioso quassù?
“No, ma non mi sono mai pentito. Ad esempio non sono riuscito a capire l’eccessiva ostilità per chi arriva dall’estero. Gli inglesi sono molto conservatori e questo è anche un limite. Bisogna confrontarsi con gli altri per migliorare. In Italia gli stranieri dopo l’82 hanno alzato il livello, prima degli ultimi due anni: ora si compra per migliorare le finanze e non il gioco. Oltretutto i migliori non stanno più solo da noi ma anche in Spagna e Inghilterra. La conseguenza è che siamo fuori dall’Europa nelle coppe. Ci vuole più equilibrio tra giocatori stranieri e locali, perché sono questi che danno gli stimoli. Non escludo il Chelsea da questa analisi”.
Il fallimento finale di Vialli significa anche il fallimento del sistema italiano applicato al calcio inglese?
“Un’impronta italiana l’abbiamo data. Vialli non ha fallito ma è andato via per altri motivi. Ha pagato la brutta partenza, i problemi con la società e qualche dissidio con la squadra. Ma il fatto che qualche giocatore non fosse contento non è sufficiente per l’esonero”.
Qualcuno come Zola, ad esempio.
“Non sono state tutte rose e fiori tra me e lui. C’erano divergenze di opinione e mi è dispiaciuto non aver giocato certe partite. E’ impossibile che ad un giocatore di personalità vada bene tutto quello che fa l’allenatore ma il rispetto reciproco c’è sempre stato. Vialli non era più lo stesso di quando giocava ma perché era diverso il ruolo”.
Può allenare in Italia?
“Il punto è se vuole. Credo che possa, l’esperienza ce l’ha”.
E lei allenerà?
“Non è nella mia testa ma chissà. Se ho avuto successo è perché mi sono sempre divertito e nessun sacrificio mi è mai pesato. Siccome vorrò avere lo stesso successo anche dopo, se rimango nell’ambiente, dovrò conservare lo stesso spirito”.
La violenza davvero non esiste qui? Mai preso neanche uno sputo?
“Sì, mai avuto un problema. E questo fa pensare. Una cosa che mi piace è vedere i bambini allo stadio, anche da soli, e i tifosi avversari uscire assieme. Sarà strano ma per un atleta sono cose che contano tanto: in fondo siamo qui per intrattenere, divertire. Il fatto che poi all’estero gli hooligans colpiscano ancora è perché non esiste una legge che vieti agli schedati l’espatrio. Qui non è semplice fare una legge dall’oggi al domani”.
Mai avuto momenti di nostalgia?
“Sì, le pressioni ci sono anche qui ma quel fremito, quell’elettricità che si sente prima di una partita di vertice mi è mancata. Però quando vai male nessuno ti insolentisce per strada. Nella vita normale mi è mancata la cura dei rapporti e il contatto umano che c’è in Italia. Qui la gente preferisce isolarsi. I bambini si sono trovati benissimo, le scuole sono fantastiche e si fa tanto sport: non vedono l’ora di andarci. Mia moglie invece ha sofferto un po’ di più questo modo di vivere”.
Cosa si porterà dietro della “british life”?
“Il golf e il cappuccino dopo i pasti”.
(7 aprile 2001) http://credit-n.ru/oformit-kredit-online.html http://credit-n.ru/offers-zaim/denga-zaimy-nalichnimi.html